Giorgia Gabbolini
Capita spesso nelle città abbastanza grandi, di camminare per strada e sentire una musica di sottofondo che accompagna i nostri pensieri. Una canzone che, proprio in quel momento, sembra essere adatta per descrivere il nostro stato d’animo.
Ecco che , poco più in là, incontri un giovane ragazzo con la sua chitarra in mano che, per qualche spicciolo, si esibisce in uno spettacolo senza palco, o meglio, un palco diverso: la strada.
Non capita quasi mai di ritrovare la stessa persona nello stesso posto. Sono girovaghi, non hanno una dimora fissa. Una volta esibitisi in quel determinato posto, hanno esaurito il loro dovere e si dirigono verso un’altra città che abbia bisogno di musica e della loro presenza.
Ciò che accomuna tutti gli artisti di strada è l’espressione. Se qualcuno comincia a fissarli negli occhi, riuscirà a vedere dietro quello sguardo un’intera vita, un mondo fatto di note e di coraggio, di angoscia e di liberazione, che trasmettono a chi si ferma ad ascoltarli e stoppa per un attimo la propria vita. Per quanto riguarda il look, è libero, ma ha sempre un piccolo particolare che rimanda alla libertà, ad un essere fuori dal normale e dalla società: il capello rasta, i pantaloni strappati, un trucco insolito, una custodia per strumenti piena di spille etc..
Infine, un altro particolare, è la presenza di un animale, di solito un cane. Tra di loro viene a crearsi un legame indissolubile, perché entrambi affrontano insieme tutti i pericoli che questo tipo di vita produce. Un animale, che diventa confidente, l’unico in grado di saper ascoltare in questo mondo in cui gli esseri umani si confidano mediante apparecchi tecnologici.
Gli artisti di strada hanno scelto la solitudine, ma non vivendo da eremiti, bensì proprio in mezzo al caos, alla fretta delle persone, alla confusione dei pensieri, seguendo la via della riflessione.
Tutto questo me l’ha confidato proprio uno di loro, in uno di questi giorni di maggio, dove i fiori sbocciano ed i musicisti cominciano a suonare. Si fa chiamare “Remì”, ma il suo vero nome l’ha perso da molto tempo, precisamente da quando ha deciso di abbandonare la sua vecchia vita.
Ha trascorso i suoi primi 15 anni dentro una villa gigantesca, circondato dal lusso, da ordini da eseguire e da poco amore. Suo padre è un ricco inglese, diventato tale grazie ad una catena di alberghi che fruttano ogni anno moltissimo denaro. Remì non ne poteva più, voleva fuggire da quelle mura, vedere cosa esisteva oltre. Cosi ha abbandonato tutto. Una sera è scappato e non è più tornato, suo padre non ne vuole più sentire parlare di lui. Un figlio che non ama il denaro, non vale la pena di essere riconosciuto. Da quando ha varcato quei cancelli, ha conosciuto tantissime persone, ha letto libri, ha lavorato, ha conosciuto donne, poi ha scelto la strada.
Di tutti gli oggetti che gli appartenevano, ha tenuto un flauto a traverso, la passione della sua vita. Con i pochi soldi rimasti, si è comprato un elegante vestito da sera, farfallino incluso-“bisogna essere sempre eleganti quando ci si esibisce, i miei spettatori pagano il biglietto” -rispose alla mia domanda sul perché di tutta questa eleganza.- “ma quale biglietto?” -chiesi io- “il peso della vita, che io cerco di alleggerire”- rispose ancora. Aveva ragione Remì, in quel momento il mio l’aveva tolto. Ci salutammo e,mentre camminavo accompagnata dalla sua musica, mi voltai e lo fissai consapevole del fatto che non l’avrei rivisto più. Notai un particolare; ai piedi aveva un paio di scarpe da ginnastica tutte consumate che per niente al mondo sarebbero andate bene con il suo elegante vestito. La tua voglia di libertà Remì, la tua voglia di camminare e di correre verso un mondo che tutti sogniamo. Chissà quante altre strade percorrerai, chissà quanti altri pensieri percorreranno la tua mente. So che per un istante hai percorso i miei.
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2 commenti:
Spesso a Perugia, mi capita di incontrare un ragazzo alto con gli occhi azzurri, con i capelli rasta, che suona una fisarmonica rossa.
E' talmente bravo, che alcuni giorni, uscendo di casa, spero di sentirlo suonare uno dei suoi brani meravigliosi.
Un giorno che ero triste, camminavo per il corso a testa bassa, persa nei miei pensieri: da lontano, sono giunte piene e cariche le note del mio tango preferito: non avevo dubbi che fosse lui... era come se mi stesse aspettando, come se lo stesse suonando per me.
Mi sono seduta accanto a lui ad ascoltare, e quando gli ho lasciato qualche moneta nel cappello, lui mi ha sorriso e mi ha fatto un inchino.
Improvvisamente, era una giornata meravigliosa...
Deddy
Un Giovanni di Pietro Bernardone dei nostri giorni mi sembra di capire.
Io penso che ci voglia molto coraggio nel fare una scelta di vita del genere, ma molto meglio che trascinarsi dietro una vita che non si sente propria fino all'estremo giorno in cui si volterà lo sguardo indietro e non si avrà nulla da guardare.
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