domenica 29 novembre 2009

Terry Gilliam E Il Dottor Parnassus

Stefania Betti

Il 24 Novembre, Perugia ha avuto l’occasione di incontrare il regista angloamericano Terry Gilliam, invitato a partecipare all’anteprima cinematografica dell’ ”Immaginario Festival”, manifestazione in programma dal 3 all’8 Dicembre nel capoluogo umbro.


Il regista, che ha da poco compiuto 69 anni, è salito sul palcoscenico del teatro “Pavone” per essere intervistato da Alessandro Riccini Ricci, organizzatore del festival, e proporre al pubblico incredibilmente giovanile, la proiezione di alcuni suoi lavori, da “Tideland” alle animazioni per il “Monty Pythons Flying Circus“ - The Miracle of Flight” e “Storytime”, seguiti inevitabilmente dal suo ultimo, visionario, film “The Imaginarium of Doctor Parnassus- Parnassus, l’uomo che voleva ingannare il diavolo”.

Gilliam, scherzando molto con il suo Interprete e con il pubblico, si è mostrato disponibile a parlare del suo prossimo e molto discusso progetto cinematografico: “The Man Who Killed Don Quixote – L’uomo che uccise Don Chisciotte”.

Il progetto era talmente ambizioso, che sarebbe dovuto essere tra le più costose produzioni cinematografiche realizzate con fondi esclusivamente europei, ma per problemi con l’avvocatura francese, restìa a rilasciare la sceneggiatura, le riprese sono state posticipate di quasi 8 anni, e sembra che inizieranno in Primavera in Spagna.
A parere del regista, però, questa lunga pausa ha beneficiato al film, che ora, con una nuova sceneggiatura, risulta più interessante, a partire già dal titolo. Sembrerebbe che la storia sia incentrata su di un uomo che si crede Don Chisciotte e che vede crollare tutte le sue certezze tornando dopo 10 anni in un paese che aveva considerato idilliaco, e trovandolo del tutto cambiato. Gilliam ha dichiarato di non voler svelare il cast completo e i dettagli della trama finchè non avrà trovato i soldi della produzione. Una cosa, però, è certa: nel cast non figurerà Johnny Depp, “troppo preso dai suoi impegni di pirata”.
Il regista ha anche aggiunto, ostinato: “Voglio realizzare questo progetto proprio perché tutti mi dicono di non farlo”.

Inevitabile la domanda sulle difficoltà incontrate dal regista nel portare avanti la lavorazione di "Parnassus" dopo la tragica scomparsa dell’attore Heath Ledger.
Gilliam ha risposto, dapprima ironicamente: “Basta avere lo specchio magico!” (alludendo evidentemente all’oggetto-fulcro della storia di Parnassus), poi, riacquistata la serietà, ha rivelato che le riprese sono andate avanti soltanto grazie all’insistenza di sua figlia, co-produttrice del film, che riteneva doveroso terminare l’ultimo film dell’attore, come tributo al suo talento e alla sua memoria.
Il regista ha commentato la scritta inserita prima dei titoli di coda a fine film, in cui si legge “Un film di Heath Ledger e Amici”, definendola "una esplicita dichiarazione del clima fraterno nato durante le riprese": gli attori Johnny Depp, Jude Law e Colin Farrell, hanno infatti deciso di devolvere i loro compensi a Matilda Ledger, unica figlia dell’attore scomparso.

Rispondendo all’ultima domanda riguardante Parnassus, su quanto egli fosse soddisfatto del suo lavoro, Gilliam ha esclamato: “Io non credo di aver mai imparato a fare dei film, ma di Parnassus sono molto soddisfatto. Mi pagano come un regista, ma in realtà io mi sento come uno studente! Mi piace fare film che risultino intelligenti per i bambini, e interessanti per gli adulti. Voglio coinvolgere il mio pubblico su più livelli, fare film che permettano di usare la testa”.

Ha poi lasciato il palcoscenico sorridendo, e aggiungendo che dopo tanto parlare di fantasia “alla realtà non riesco proprio a pensare, ma domani dovrò di nuovo affrontarla, purtroppo, rimettendo piede a Londra!”

L’edizione di quest’anno dell”immaginario Festival”, evoluzione di bATik film festival, è dedicata ai 70 anni di Batman e ai miti del presente, argomento trattato da diversi punti di vista, dal cinema al fumetto, dai videogame alle serie tv.

Per maggiori informazioni potete consultare il sito: http://www.immaginariofestival.org/










martedì 17 novembre 2009

Terminator 4: Il Crollo Di Un Mito

Nicola Pili

Qualcuno ebbe a dire una volta: “(…)da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. Se vuoi dire che diventa aceto, è così; se vuoi dire che migliora con l’età, non è così” -Marcellus Wallace-.
Quale aneddoto calza di più di questo per tutti i recenti disastri Hollywoodiani: basti pensare a film come “Trenta giorni di buio”o gli ultimi film di “James Bond”, o ancora al farcito “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo” che già il titolo fa ridere. Ma questa le batte tutte.

Terminator Salvation
Non poteva farcela a lungo. Con "Terminator 3: le macchine ribelli" la formuletta magica di Hollywood aveva funzionato per l’ennesima volta: chi non avrebbe voluto rivedere il caro Schwarzy in vesti metalliche, la purissima azione, le esplosioni e le gambe rotte che i precedenti due capitoli della saga robotica più celebre(nulla togliendo a Tetsuo)che avesse mai solcato i nostri schermi ci aveva regalato. Una saga costellata di paradossi allucinanti e colpi di scena della vita familiare alla Guerre Stellari. Così lo vidi; e lo videro tutti gli appassionati del genere. E guardando questo film, l’idea che già da altri film mi era stata suggerita si realizzò definitivamente: gli effetti speciali, pur essendo potenti al cinema o con un sistema dolby, non fanno il film. Troppe sono state le esplosioni computerizzate e le automazioni dei robot al limite dell’irrealtà; tutto troppo perfetto. E, come sempre, quando un aspetto del film poco importante come gli effetti viene curato meglio, a scapito degli altri parametri importanti del film, come l’interpretazione e lo storyboard, la pellicola è condannata.

Certo, può essere piaciuto a qualcuno, forse a molti, ma tutti saranno d’accordo nel sostenere che il penultimo capitolo di Terminator non può considerarsi neanche lontanamente paragonabile ai suoi predecessori. Ma eccoci al dunque: che senso avrebbe, dopo lo scortese schiaffo puzzolente della soap-opera Sarah Connor Chronichles, umiliare ancora la memoria di un classico della cinematografia contemporanea quale è Terminator? Rivoltarlo, scuoterlo come un tappeto sporco, appropriarsi della storia, dei personaggi e delle invenzioni solo per fare un altro, ennesimo film futuristico d’azione senz’anima e senza un briciolo di modestia?
Hollywood ce lo vede un senso: il boom ai botteghini. Come per Star Wars e Indiana Jones poi, hanno di nuovo fregato tutti alla grande: il titolo sul manifesto sembra il canto di una sirena che attrae e poi uccide, un richiamo a cui è impossibile resistere. Per fortuna, tutti noi oggi possiamo giovare del servizio che internet esegue per la comunità: farci assaggiare il prodotto (quasi sempre facendocelo mangiare per intero), così possiamo testare la qualità. Io ho fatto così. Sembrerebbe che io l’abbia visto questo film, da come ne sto parlando. In realtà non l’ho visto per intero: sono “uscito dalla sala” prima, non so quanto. Cercavo di resistere per vedere finalmente di nuovo Arnold fatto al computer, tornato in auge come al suo esordio; ma non ce l’ho fatta. Scontato, ambizioso e, nonostante gli sforzi, per niente cupo. Buona visione.

sabato 7 novembre 2009

Fortapàsc

Maurizio Fo

In un triste weekend di Halloween causa influenza, ho scelto di noleggiare questo film la cui uscita nelle sale risale alla scorsa primavera. Senza togliere il gusto della visione (che consiglio personalmente a tutti), è bene per completezza raccontare in sintesi la vicenda. Prima di tutto, la storia è vera. Il titolo allude al fortino assediato dai pellerossa, che in questo caso sono metaforicamente rappresentati dalla camorra.

Torre Annunziata, 1984.
Alla redazione-succursale del giornale “Il Mattino” di Napoli lavora un giornalista “abusivo”, Giancarlo Siani. Inizialmente si occupa di fatti di cronaca nera. In seguito viene a conoscenza delle collusioni tra camorra e politica e denuncia, sempre dopo un’attenta e scrupolosa verifica, i fatti così come si svolgono, senza filtro alcuno, spiegandone tutti gli intrecci.

Il suo operato, però, non è di gradimento né ai politici (vedi il sindaco di Torre), né tantomeno ai boss Valentino Gionta (astro nascente della camorra locale) e Lorenzo Nuvoletta.

Intanto Siani è promosso giornalista presso la redazione de Il mattino di Napoli, dove incomincia a lavorare su un’inchiesta riguardante l’appropriamento indebito dei fondi per la ricostruzione del dopo terremoto in Irpinia da parte della camorra.

Contemporaneamente la crescita di potere di Gionta non piace ai suoi alleati, che decidono di venderlo alle forze dell’ordine.

Siani scrive un articolo che riguarda appunto questo fatto: firma così la sua condanna a morte.
I Nuvoletta, per salvaguardare il proprio onore di fronte a Gionta, decidono di farlo tacere.
La sera del 23 Settembre 1985, a Napoli due killer freddano con dieci colpi di pistola il giornalista in un parcheggio sotto casa. Misteriosamente dell’inchiesta cui Siani stava lavorando non se ne sa più nulla.

Ben dodici anni passeranno prima che si conoscano i volti dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio del giornalista.

In rete è possibile comunque reperire numerose recensioni ed analisi.
Eccone una:

http://www.100cinema.it/index.php?/494-Fortapasc-Al-Cinema-Scheda-Cast-Trama-Pressbook-Recensione-Trailer.html

Personalmente dissento dal definire questo film solamente un potenziale buon prodotto per la Tv, come dichiara la recensione sopra indicata. È vero, ci sono dei difetti: molti personaggi sono caricaturali (basti vedere i boss o le impotenti forze dell’ordine), il sorriso finale di Siani forse è troppo costruito e lascia un messaggio di speranza eccessivo. Ma l’obiettivo principale del film è diverso: oltre a raccontare un pezzo di storia italiana purtroppo dimenticata, è importante come il regista abbia voluto rappresentare sullo schermo la storia di un uomo, che ha perso la vita solo per aver raccontato la verità dei fatti.

Una scena molto significativa è quella in cui Siani (Libero De Rienzo: una perfetta mimesi col vero Siani) parla sulla spiaggia col suo ex direttore alla redazione di Torre, Sasà (Ernesto Mahieux). Quest’ultimo spiega a Siani la distinzione tra “giornalisti-giornalisti” (quelli che ricevono la notizia, la verificano e la scrivono senza esitazione) e i “giornalisti-impiegati” (quelli che scrivono, non fan scoop, inchieste): ritenendo di appartenere alla seconda categoria, il personaggio mostra di essere un ingranaggio ormai perfettamente integrato nel sistema, che tutto sommato è contento, perché ha la macchina, l’appartamento, l’assistenza sanitaria.... E ha raggiunto questo traguardo perché a differenza di Siani non caccia il naso dove non gli è consentito. Perché gli scoop fanno male: scuotono le coscienze, fanno venire a galla la verità. E questo non sta bene ai boss ovviamente.

Siani quindi faceva parte di quella serie di giornalisti, scrittori o, allargando il perimetro, di tutte quelle persone, che amavano la loro professione. La storia italiana è ricca di questi personaggi e molti di questi sono poi stati ricordati in pellicole come questa: basti pensare ai “Cento passi” di Marco Tullio Giordana su Peppino Impastato o alle numerose fiction sui giudici Falcone e Borsellino. Pochi, come il sottoscritto, avrebbero conosciuto la vicenda di Siani se Marco Risi (figlio del famoso e compianto Dino) non avesse diretto questo film a distanza di quasi trent’anni dalla sua morte.

Anche oggi c’è un Siani tra noi ed è Roberto Saviano, un uomo che oggi vive praticamente da ergastolano e perennemente sotto scorta per aver scritto un libro, dove racconta nient’altro che la verità, non la rielabora, rende leggibili citazioni di atti processuali e spiega l’intelaiatura del tessuto camorristico, come guadagna, come investe, come ammazza. E per questo continua a ricevere minacce di morte: pochi mesi fa era stato persino scoperto un piano per ucciderlo, che ha costretto lo scrittore a cambiare immediatamente il suo “rifugio”. Come un animale braccato.

Credo che aldilà del gradimento o no che possa derivare dalla visione del film sia necessario innanzi tutto riflettere e non dimenticare personaggi come Siani e soprattutto continuare a sostenere chi lotta per il diritto all’informazione. E solo così nel nostro paese (perché la camorra come la mafia non sono un’esclusiva di Campania e Sicilia) non vi saranno più Fortapasc.

Allego alcuni siti d’interesse:

http://www.giancarlosiani.it/mistero.html sito ufficiale di Giancarlo Siani

http://www.osservatoriocamorra.org/root_sito/pagine/

http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=1179 doc. sulla vicenda Siani

giovedì 5 novembre 2009

Inglourious Basterds: Bastardi Senza Gloria

Marco Parini

Abbandonati gli eccessi splatter e B-movie delle sue ultime produzioni (Kill Bill e Grindhouse) il nuovo film di Tarantino, Inglorius Bastards, segna un ritorno ai fasti di Pulp Fiction e de Le Iene coi quali si può dire formi un trittico ideale, massima espressione della sua arte.

Il film non è privo di scene forti, citazioni e riferimenti ad elementi e cifre stilistiche tipiche dei generi tanto amati da regista di Knoxville e immancabili in ogni sua opera, ma si tratta, questa volta, di riferimenti e citazioni spesso sottili e sempre integrate con equilibrio e sapienza nel tessuto del film; così che nessun punto si ritrova a risaltare eccessivamente distraendo con forza o infastidendo lo spettatore che può, se possiede la cultura necessaria, godere di questo secondo livello di lettura senza che l’armonia della trama del film ne risulti inficiata.

Inglorius Bastards è difatti un film che, nella sua complessità, scorre benissimo e con una tale attenzione e maestria nella costruzione di ogni scena da riuscire a tenere la tensione alta fino al crescendo finale: un vero e proprio momento di catarsi collettiva che per le sue molteplici letture vale da solo, assieme al magnifico prologo, il prezzo del biglietto e quello di una seconda visione.

Il film segue due storie che vanno strettamente intrecciandosi sullo sfondo della Francia occupata dai nazisti: quella dei Bastardi di Aldo Raine e dell’ebrea Shoshanna. Aldo Raine (Brad Pitt) comanda una squadra di soldati ebrei scelti col compito di infiltrarsi dietro le linee nemiche e uccidere quanti più nazisti possibile e nel modo più cruento possibile, in una campagna a metà la guerriglia e la vendetta.

Shoshanna (Mélanie Laurent) è una francese ebrea sopravvissuta da ragazza al massacro della sua famiglia perpetrata dalle SS del colonnello Hans Landa (Christoph Waltz; al quale questa interpretazione è valsa un meritato premio a Cannes) e rifugiatasi a Parigi dove la ritroviamo a gestire, sotto falsa identità, un cinema.

L’infatuazione per Shoshanna di un eroe di guerra tedesco sarà il primo di una serie di eventi che porteranno le alte gerarchie del terzo reich nel suo cinema per una premiere. Shoshanna deciderà di approfittare dell’evento per riprendersi la rivincita sugli assassini della sua famiglia e del suo popolo mentre ai bastardi verrà assegnata la missione, con l’aiuto di un ufficiale inglese e una spia tedesca, di infiltrarsi e uccidere Hitler e i suoi gerarchi.

Hans Landa non ha propriamente una sua storia ma si può indicare senza fallo come il protagonista assoluto del film. Egli costituisce il collegamento fra la storia dei bastardi e quella di Shoshanna, interviene in entrambe con forza e costituisce il filo conduttore dell’intera opera. Col suo agire, a tratti con la sua sola presenza, impone i ritmi e i limiti agli altri personaggi, costretti costantemente a fare i conti con l’intelligenza, l’istinto e l’imprevedibilità di questo colonnello delle SS detto “Il cacciatore di ebrei”. Hans Landa non solo gioca con gli altri personaggi ma anche, e per suo tramite il regista, col pubblico imponendosi come uno dei cattivi, e tout court dei personaggi, più affascinanti del cinema.

Anche gli altri protagonisti risultano convincenti nei loro vari ruoli. Attorno a questo film esiste moltissimo materiale che Tarantino, il quale pensava inizialmente di fare de Inglorius Bastards un telefilm, ha dovuto lasciar fuori dall’opera finale e probabilmente è grazie alla sua conoscenza approfondita d’ogni singolo elemento del mondo dei bastardi che ogni personaggio, per quanto marginale e per quanto poco appaia sullo schermo, risulta ben tratteggiato, dotato di una sua psicologia e di un suo valore che gli permettono di imprimersi nella mente dello spettatore. L’unica eccezione è forse Hitler il quale risulta eccessivamente grottesco ma considerato il suo ruolo in questo film più di simbolo che di personaggio si può perdonare il suo essere una macchietta.

Come anticipato il punto culminante del film, il fulcro della parte finale, è un momento estremamente catartico. La catarsi è lo scopo principale del film che costruisce e mantiene costante la tensione, con pochi punti di sfogo umoristici e/o violenti, per permettere allo spettatore di scaricarla tutta in un colpo nella liberatoria scena madre. Detta scena è altresì il momento in cui lo spettatore ha modo di accorgersi di come tutti i riferimenti cinematografici palesi e nascosti del film non sono solamente manifestazioni di affetto di Tarantino nei confronti del cinema ma un discorso, che percorre tutta la pellicola, sul cinema: cos’è, a cosa serve e come si fa. Un discorso profondo, una seconda chiave di lettura che aggiunge molto valore a Inglorius Bastards: film catartico, fantastorico e meta filmico.

Chiunque ami il cinema dovrebbe andare a vedere che questo film che prima di essere una grande opera di fantastoria, una emozionante pellicola d’azione, una nuova perla dello stile tarantiniano, è una grande dichiarazione d’amore alla settima arte.