martedì 2 febbraio 2010

Shakespeare E La Scienza Triste

Vincenzo Scrutinio

“Ci piacerebbe credere che sia l’amore a determinare il nostro destino, o che i veri fattori formativi che dirigono la nostra vita siano i grandi sogni e la passione dell’anima o i progressi delle scienze tecnologiche. Invece, nel vivere reale, solo le idee del business sono di fatto sempre presenti, dalla soglia di casa alla scrivania in ufficio, dall’alba al crepuscolo.”
J. Hillman, Forme del Potere (1995), in U. Galimberti “I miti del nostro tempo” (2009).

In questi giorni si concludono le rappresentazioni dell’opera di Shakespeare “Il Mercante di Venezia”, al Piccolo Teatro di Milano (regia di Luca Ronconi). Come sempre Ronconi colpisce il proprio pubblico. Una scenografia ridotta all’essenziale e personaggi dai tratti incredibilmente marcati accompagnano lo spettatore per le tre ore e quaranta (più o meno) minuti della rappresentazione, mantenendo viva l’attenzione nonostante la lunghezza dell’opera.

Come ben sapete, la piece narra di Antonio, ricco mercante veneziano, che si impegna ad aiutare l’amico Bassanio nel tentativo di conquistare la mano della ricca e bella Porzia, la cui sorte matrimoniale dipende da una lotteria di tre scrigni in uno dei quali si cela il ritratto della bella ereditiera. Per aiutare l’amico, Antonio è costretto ad indebitarsi con l’ebreo Shylock il quale gli chiede come penale in caso di mancato pagamento una libbra di carne “di quella più vicina al cuore”. Dato che sembra che le navi di Antonio siano state tutte affondate nel viaggio di ritorno, Shylock richiede senza misericordia il pagamento della penale scritta nel contratto, anche come vendetta per la fuga della figlia con un cristiano, Lorenzo, amico di Bassanio. Solo grazie all’intervento di Bassanio, che nel frattempo è riuscito a vincere la sorte ed a sposare Porzia, ed all’intervento di quest’ultima sotto le mentite spoglie di un giovane avvocato di Padova, la vicenda ha un lieto fine per il mercante. Grazie ad una serie di cavilli, Porzia, infatti, riesce non solo a salvare Antonio ma anche a fare in modo che Shylock venga punito per la sua crudeltà impietosa, con la perdita di metà dei suoi beni, affidati ad Antonio affinchè li consegni alla figlia dell’ebreo alla sua morte, e con la conversione forzata. La vicenda si conclude a Belmonte nella villa di Porzia, dove ella rivela il suo travestimento ed avvisa Antonio che due delle sue navi sono inaspettatamente giunte in porto.

La trama si sviluppa attorno a due luoghi ricchi di significato. Il primo è la città di Venezia, città mercantile per eccellenza , dove Antonio recita , secondo le sue stesse parole, il suo ruolo “triste”. Il secondo è la realtà di Belmonte, luogo fatato è magico dove vive Porzia e dove i suoi pretendenti devono cimentarsi con la lotteria stabilità dal suo defunto genitore. Sebbene Ronconi osservi, in realtà, una forte somiglianza tra i due mondi in quanto in entrambi il ruolo del denaro è centrale mi sembra che vi siano una serie di marcate differenze. A Venezia il denaro occupa un ruolo cardine nella definizione delle relazioni sociali e determina la sorte stessa degli uomini. Basti pensare al contratto tra Shylock ed Antonio, in cui il mercante pone come garanzia della somma prestata (3000 ducati) il suo stesso corpo che sarà richiesto a gran voce dal creditore alla scadenza del contratto. Bassanio, conducendo una vita al di sopra dei suoi “poveri mezzi”, si indebita fino al collo fino a sperare nell’opportunità della lotteria a Belmonte. Già da questo momento, Belmonte appare estraneo al mondo mercantile, dominato dal calcolo e dal valore monetario, anche se la corda sottile del rischio risulta un collegamento tra questi due mondi. A Belmonte, le discussioni concernenti il denaro sono estremamente rare ed anche Bassanio non fa mai parola del proprio stato di necessità dal momento in cui arriva alla dimora di Porzia. In tutte le scene non vengono mai esplicitamente citate cifre se non nel momento in cui Porzia offre al marito una somma pari a venti volte il debito di Antonio verso Shylock per riscattare l’amico. Anche in questo caso il denaro è trattato con aria lieve e priva della serietà e metodicità che si riscontrano a Venezia. La lotteria, poi, assume dei connotati del tutto paradossali: gli scrigni d’oro e d’argento, infatti, contengono l’uno la morte stessa (un teschio con una pergamena che informa lo sventurato pretendente del suo fallimento) mentre l’altro la follia (una testa di folle con una pergamena). La bellezza e ricchezza di Porzia sono invece contenute nel vile Piombo, che tuttavia è caratterizzato da una frase che concentra tutta lo spirito imprenditoriale (“chi sceglie me deve dare e rischiare tutto ciò che ha”). Belmonte è anche il luogo della metamorfosi e della trasformazione. Lì, infatti, Porzia e la sua serva si travestono da avvocati per salvare il mercante ed ancora lì viene svelato l’inaspettato arrivo delle navi di Antonio in porto, sane e salve. In pieno accordo, con Anna Luisa Zazo, che ha curato le recenti edizioni di Shakespeare per la Mondadori, ritengo che il fondamentale contrasto ed opposizione all’interno dell’opera sia quello tra la magia di Belmonte e la realtà mercantile di Venezia.

Antonio, rappresentante per eccellenza della classe mercantile, si presenta come un personaggio di confine. Per amore dell’amico mette a rischio la sua vita pur di consentirgli di raggiungere il suo scopo. In ogni modo cerca di uscire dalla pura realtà mercatoria, regolata dai rapporti del denaro (solo con lui, Shylock stipula un contratto senza interesse salvo poi richiedere la piena adempienza). Presta con generosità all’amico pur sapendo che questo lo porterà a perderlo anche se tenta in qualche modo di ristabilire il primato su di lui, convincendolo a consegnare l’anello della moglie al giovane avvocato in quanto la sua riconoscenza per averlo salvato deve essere “superiore all’obbedienza verso la moglie”. Cerca insistentemente, e trae grande gioia, dal rapporto d’amicizia e sembra non curarsi delle sue sorti finanziarie in modo ossessivo. Allo stesso tempo, il mondo fatato gli è inevitabilmente precluso. Egli è destinato a perdere inevitabilmente l’amico e non può neanche compiere il suo sacrificio supremo, che non sembra temere, a causa dell’intervento di Porzia. Nella scena finale a Belmonte, Antonio sta in disparte fisicamente e spiritualmente distante da una realtà a cui cerca di avvicinarsi senza successo. Nel mostrare lo stato delle cose Ronconi si dimostra un maestro: Porzia ed Antonio non si toccano mai direttamente e l’unico effettivo momento di contatto è attraverso una missiva che Porzia consegna ad Antonio in cui lo si informa dell’arrivo delle navi. Solo l’incertezza, dunque, sembra poter creare un ponte tra queste due realtà inevitabilmente distanti.

Ad Antonio è dunque preclusa la redenzione di Belmonte. Ogni suo tentativo di allontanarsi dalla realtà di Venezia è inutile ed il personaggio è condannato a quella “tristezza che fa di lui un tale inetto che fatica a conoscere se stesso”. Ma se questo novello (o forse dovremmo dire antico) rappresentante della coscienza infelice sembra non comprendere il materiale di cui tale “stoffa” è fatta, possiamo di sicuro dire che è una stoffa pregiata. Il suo stesso status di mercante lo imprigiona senza scampo sin dal titolo dell’opera e nonostante i suoi numerosi tentativi gli impedisce di divenire quello che non è. Così come la “Madre” in “Sei personaggi in cerca d’autore” è un personaggio che il “Padre”, e l’autore stesso, definiscono in odo netto ed inequivocabile, così Antonio è legato in modo inestricabile al suo ruolo. Un personaggio ribelle, tuttavia, che vorrebbe slegarsi dal suo ruolo originario, che tenta invano di essere quello che Iago, in Otello, è senza difficoltà cioè “non essere se stesso”. Questo anelito frustrato è il cuore del personaggio di Antonio, un personaggio inevitabilmente triste, uno per cui “il mondo è quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare una parte… e la mia è una parte triste”.

Più di trecento anni dopo, nel 1957, nell’Italia del boom economico, Italo Calvino scriveva:“Se uno non svolge un ‘attività economica non è un uomo che vale. I proletari pur sempre la lotta sindacale. Noi invece stacchiamo le prospettive storiche dagli interessi, e così perdiamo ogni sapore della vita, ci disfiamo, non significhiamo nulla”. Questa sovversione di prospettive è una delle basi su cui si è creato il mondo moderno. Il lato oserei dire “economico” dell’esistenza ha un peso enorme nella vita moderna e dà un forte contributo ad una creazione di senso per il mondo così come lo conosciamo. Il peso di questa terra è molto più lieve per i moderni rispetto a quello percepito da Antonio ma sembra opportuno chiedersi quanto poi non siamo eredi di questo personaggio da cui potrebbe essere nato il nome della “scienza triste”.

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