venerdì 19 marzo 2010

Scuola al vetriolo: la black comedy americana dagli anni ’80 ad oggi

Elisabetta Rossi

Che la scuola sia il luogo disfunzionale per eccellenza dove meglio ambientare drammi e piccole tragedie quotidiane, è una lezione che il cinema ha imparato da tempo. Negli ultimi 30 anni il liceo è stato il teatro di elezione di uno dei più particolari generi americani, la commedia nera, ovvero quella commedia iconoclasta e crudele che mette alla berlina i “modelli” scolastici, che brucia le tradizioni e bagna gli stereotipi nel vetriolo, il tutto con un sorriso diabolico sulle labbra.

Partiamo con il capostipite cult del genere, il celeberrimo The breakfast club, successivamente reinventato da numerosi serial televisivi, in cui un piccolo gruppo eterogeneo di liceali - il secchione, la bambolina, lo sportivo, la disadattata e il teppista, come essi stessi si definiscono - si trovano a dover passare un intero sabato di punizione insieme: la scuola disabitata diventa, dunque, una sorta di limbo senza porte, in cui i ragazzi, che dovrebbero scrivere singolarmente un tema intitolato “Chi sono?”, guardano invece fuori da sé e, pur con fatica e scontri, instaurano un improbabile dialogo; affrontano a muso duro argomenti come il rapporto con i genitori, le aspettative, le speranze per il futuro, il sesso e la visione della scuola; il teppista Andy è il grillo parlante della situazione, il cono d’ombra, l’elemento “nero” che getta benzina sul fuoco delle contraddizioni scolastiche. Dal confronto usciranno uguali a prima, ma in un certo senso rigenerati e stimolati dal confronto.

Una ventata di cattiveria e humour nero la porta alla fine degli anni ’80 il controverso Schegge di follia - titolo originale Heathers, dal nome delle tre protagoniste “streghe” che spadroneggiano e dettano stile a scuola - : la quarta ragazza del gruppo, la fragile Veronica, deciderà di partecipare alla loro eliminazione fisica dopo aver incontrato JD, un altro teppista iconoclasta, che la aiuterà nell’intento, con esiti disastrosi e un’importante presa di coscienza finale.

Nel bellissimo Election, di fine anni ’90, troviamo invece uno scontro generazionale tra Tracy, una liceale brillante e desiderosa di popolarità candidata alla carica di presidente del comitato studentesco, e il suo professore di storia, che tenta invano di fermarne la scalata, quasi ne andasse della sua vita: entrambi useranno tutti i mezzi, anche illeciti, per ottenere quello che vogliono. Per la prima volta il personaggio perturbante è una ragazza, e per giunta una ragazza candida e integrata nel sistema: questo elemento apre la strada al leitmotiv dell’ironia sottesa e dei complotti sotterranei “a scomparsa”.

Con Donnie Darko, film di culto uscito l’11 settembre 2001, si introduce nella commedia nera l’elemento fantastico, legato alla predestinazione e ai viaggi nel tempo: il disadattato visionario Donnie Darko, incline all’abbattimento del sistema e al boicottaggio della sua scuola perbenista, viene visitato da un coniglio gigante che, dopo avergli salvato la vita, gli predice la fine del mondo; l’amore per una ragazza, Gretchen (che non a caso riprende il nome della donna del Faust di Goethe), lo condurrà alla comprensione di ciò che le sue percezioni possono far accadere.

Due film successivi, The dangerous lives of altar boys e Saved! trasformano la commedia nera in una critica feroce al fondamentalismo ideologico di certi istituti cristiani americani: il primo fotografa la vita spericolata, fatta di scherzi e bravate, di alcuni chierichetti liceali ai danni della suora preside della scuola, trasformata nella loro finzione fumettistica nel personaggio di “Suorzilla”; Saved! invece affronta con bonarietà e un pizzico di cattiveria temi come omosessualità, gravidanze indesiderate e disabilità nel contesto di una scuola cristiana, dove questa volta l’elemento perturbante è l’ebrea Cassandra, che con il suo acume da donna di mondo intaccherà i vincoli ipocriti di un mondo che è perfetto solo in apparenza.

Un caso a parte, che costituisce un ritorno al passato, è Mean girls, che la sceneggiatrice e interprete Tina Fey ha definito “una riscrittura edulcorata di Schegge di follia”, e che tuttavia introduce elementi nuovi: questa volta le contraddizioni del mondo liceale sono colti dall’ingenua Cady; arrivata dall’Africa e per la prima volta in una scuola americana Cady brucerà le tappe e si trasformerà da “aborto della giungla” in “scintillante Barbie”, al seguito delle ragazze più alla moda, fino a conquistare una propria identità abbattendo, con la sua grinta “giunglesca”, tutti gli stereotipi del caso.



Filmografia:


John Hughes (regia di), The breakfast Club, Usa 1985.
Michael Lehman (regia di), Schegge di follia, Usa 1989.
Alexander Payne (regia di), Election, Usa 1999.
Richard Kelly (regia di), Donnie Darko, Usa 2001.
Peter Care (regia di), The dangerous lives of altar boys, Usa 2002.
Mark Waters (regia di) Mean girls, Usa 2004.
Brian Dannelly (regia di), Saved!, Usa 2005.

venerdì 26 febbraio 2010

Avatar

Vincenzo Scrutinio

“All this was a long time ago, I remember, And I would do it again, but set down This set down This: were we led all that way for Birth or Death? There was a Birth, certainly, We had evidence and no doubt. I had seen birth and death, But had thought they were different; this Birth was Hard and bitter agony for us, like Death, our death. We returned to our places, these Kingdoms, But no longer at ease here, in the old dispensation, With an alien people clutching their gods. I should be glad of another death.”
T.S Eliot “The Journey of the Magi", Ariel Poems (1927)

“in verità, in verità ti dico che uno che non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: “Bisogna che nasciate di nuovo”
Vangelo secondo Giovanni, 3, 5-8

A partire dal 15 gennaio di quest’anno anche molti spettatori italiani si sono immersi nel mondo ideato dal regista James Cameron nel suo ultimo film, Avatar.

A quest’ora la maggior parte di quelli che stanno leggendo questo articolo avrà già visto il film quindi riassumerò per sommi capi i punti principali della trama. Nel XXII secolo, una grande corporation americana scopre il pianeta Pandora e vuole sfruttare la ricchezza del suo sottosuolo, ricco di un minerale particolarmente prezioso. Il giacimento più ricco, tuttavia, si trova sotto il gigantesco albero dove vivono gli abitanti di Pandora, i Na’vi. Un ex marine paralitico, Jake Sully, viene arruolato in sostituzione del fratello gemello morto improvvisamente per partecipare ad un progetto scientifico. Per mezzo di tale progetto, la corporation che lo finanzia intende cercare di convincere i nativi ad abbandonare il luogo in cui abitano in modo da poter entrare in possesso del minerale prezioso. A questo scopo la sua coscienza è trasferita in un corpo uguale a quello degli indigeni ed in queste sembianze il marine entra in contatto con i nativi. Inutile dire che riesce in un tempo relativamente breve ad entrare in perfetta sintonia con la tribù, imparandone gli usi e la cultura. I Na’vi vivono in piena comunione con la natura e riescono addirittura ad unire la propria coscienza a quella degli animali di cui si avvalgono per la caccia. Affascinato da questo Paradiso Ritrovato, Sully ne rimane conquistato ed arriverà non solo ad unirsi con la figlia del leader della tribù, ma ne diverrà anche il capo militare, dopo essere riuscito a domare la creatura più pericolosa di tutto il pianeta. Sotto la sua guida, i Na’vi riusciranno a sconfiggere la corporation ed i soldati alle sue dipendenze e Sully troverà una nuova vita nel suo nuovo corpo sul pianeta Pandora, rigettando definitivamente la sua civiltà originaria.

Il film ha scatenato un acceso dibattito negli Stati Uniti ed è stato sottoposto a critiche violente (per un esempio si legga l’articolo di John Podhoretz[1]). In molti si sono interrogati sul significato del film, arrivando ad alcune conclusioni di grande interesse. In questo articolo proverò a dare un mio piccolo contributo al dibattito.

La ricchezza degli spunti rende difficile trovare un vero filo conduttore: si sovrappongono sia temi a rilevanza potremmo dire politica, sia temi di carattere più filosofico. Tuttavia mi sembra che un tema sia stato trattato in modo approfondito e possa essere il filo conduttore per la comprensione dell’opera.

Il tema della rinascita si presenta come il fil rouge che potrebbe consentire una comprensione più profonda delle tematiche trattate nel film ed offre spunti di riflessione originali. Questo tema occupa, poi, un ruolo particolare nel cuore degli americani. Nel panorama religioso degli Stati Uniti i “rinati” nella fede sono una categoria di cristiani, appartenenti a varie confessioni, accomunati dal fatto di aver riscoperto la fede in un certo momento della loro vita. Essi arrivarono alla ribalta della scena politica nel 1976 quando il “rinato” James Carter venne eletto alla presidenza degli Stati Uniti[2]. Negli ultimi anni, poi, hanno avuto un ruolo essenziale nella definizione della stessa identità americana tramite il presidente George Bush Jr, rinato metodista, che ha fatto della fede religiosa un punto cardine della sua retorica. Nell’ottica teologica americana, il tema della rinascita assume un significato di redenzione e purificazione. L’individuo, e con esso la nazione stessa, ritorna a quella primigenia innocenza che aveva inspirato i padri fondatori, riappacificandolo con il mondo e con la sua missione salvifica. Un tema, quindi, centrale soprattutto in un periodo in cui il potere ed il ruolo internazionale degli Stati Uniti sembrano scricchiolare[3].

Ma torniamo al film.

Già a partire dalle prime immagini il tema si presenta agli occhi dello spettatore attraverso la morte del fratello di Jake. Proprio questa morte improvvisa e violenta del gemello porta il paralitico Jake Sully ad entrare in un progetto scientifico a cui era totalmente estraneo. Tuttavia, questo evento sembra avere un significato più profondo. La morte del gemello, sano ed istruito, rappresenta anche la morte della parte umana in senso culturale di Jake. Si tratta di un passaggio catartico in cui l’identità dei due gemelli si libera di quella parte artefatta caratteristica dell’identità umana civilizzata. Solo la parte più propriamente animale dell’uomo arriva su Pandora per prendere parte al progetto Avatar.

Questo tuttavia non è sufficiente. Anche il corpo deve elevarsi verso una forma più perfetta e, per questo, la stessa coscienza di Jake dovrà trasmigrare in un altro corpo. Il sonno è una fase transitoria e temporanea per questo passaggio. Il topos letterario classico cui si fa riferimento è quello del sonno come immagine della morte vera e propria (basti pensare al soliloquio di Amleto nel omonima tragedia, atto III, scena I ). Tramite il sonno, il protagonista si trasferisce nel suo nuovo corpo, biologicamente superiore a quello umano, per poter entrare nuovamente nella terra promessa di Pandora. Il passaggio, in questo caso, è però solo temporaneo in quanto Jake deve tornare nel suo corpo umano.

La rinascita di Jake non è ancora completa in quanto inizialmente la sua mente è ancora quella di un uomo, incapace di comprendere la comunione con la natura, e la divinità che in essa abita, ed ottenere la pace. Solo grazie all’intercessione di una figura femminile, versione selvatica di Beatrice, l’ultima parte umana del protagonista potrà essere purificata e finalmente accettata nella nuova realtà. Il passo finale per l’effettiva resurrezione è la sconfitta della morte e del male. Questo avviene in modo figurato quando Jake riesce a domare la Morte stessa, sotto le sembianze dell’uccello Ultima Ombra. Il ruolo che questo Messia risorto svolge in seguito nella lotta contro i soldati che intendono cacciare i Na’vi getta una luce anche sul titolo del film. L’Avatar , infatti, è una figura appartenente ad un poema sanscrito, il Bhagavad Gita, e nella religione indù il termine individua l’incarnazione di Dio o di una figura ad Egli assimilabile (solitamente Vishnu), che compare sulla terra in periodi di grave declino morale per ristabilire la giustizia. Come detto nel poema sopracitato: “Per la protezione dei giusti, per la distruzione dei malvagi e per ristabilire i princìpi della Giustizia Divina, Io mi incarno di era in era[4]”.

In questo punto il tema principale si intreccia con un altro tema: quello, ormai desueto nella filmografia americana, del “Messia bianco”. Parlare anche di questo tema andrebbe oltre l’obiettivo di questo articolo e quindi rimando all’ottimo articolo di David Brooks del 7 gennaio 2010 sul NYT[5].

Vi è però un problema: il vero corpo di Jake è ancora quello umano. L’ultimo passo per la completa rinascita alla vita non può non passare attraverso la Divinità stessa. Attraverso la completa comunione con il suo nuovo popolo eletto e passando letteralmente attraverso il mistero del Divino[6], l’umano abbandona definitivamente il proprio corpo per diventare qualcosa di Altro, di nuovo perfetto ed innocente.

Il film, dunque, cerca di accompagnare l’umanità verso un cammino di redenzione naturale, attraverso un’esperienza catartica volta a ripristinare la natura stessa dell’essere umano in quanto “parte” . Questa nuova ricerca del Paradiso Perduto, tuttavia, richiede un processo doloroso di distruzione dell’identità umana artificiale, per poter ottenere una nuova e piena comunione con il tutto. Se Jake riesce in tale percorso, Cameron stesso sembra mostrare che tale elevazione è un percorso elitario destinato a pochi eletti. Non sembra esserci spazio per una redenzione nella società ma, anzi, essa passa attraverso un distacco radicale da essa. In questo Cameron non sembra dare speranza alla nazione americana, lasciando un po’ di speranza solo a pochi individui. A coloro che non rinunciano in toto alla loro identità umana il Paradiso è precluso. Sembra di ascoltare ancora una volta l’ammonimento evangelico “è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio[7]”.

Note

[1] John Podhoretz, “Avatarocious”, Weekly Standard, 28/10/2009 http://www.weeklystandard.com/Content/Public/Articles/000/000/017/350fozta.asp?page=2
[2] Emilio Gentile, “La democrazia di Dio”, Laterza, 2008, pag 80-81
[3] A tal proposito si legga: Lucio Caracciolo, “Sogno Americano e sonno europeo”, in Limes, vol 1, 2010, pag 7-24
[4] Per riferimenti ed approfondimenti rimando a http://it.wikipedia.org/wiki/Avatar_(religione)
[5] David Brooks, “The Messiah Complex”, NYT, 7/1/2010, http://www.nytimes.com/2010/01/08/opinion/08brooks.html?th&emc=th
[6] Per un interessante analisi della religion “paneistica” in “Avatar” si veda, per esempio: Ross Douthat, “Heaven and Nature”, NYT, 20 /12/2009, http://www.nytimes.com/2009/12/21/opinion/21douthat1.html?_r=2&th&emc=th
[7] Vangelo secondo Matteo, 19, 24


martedì 2 febbraio 2010

Shakespeare E La Scienza Triste

Vincenzo Scrutinio

“Ci piacerebbe credere che sia l’amore a determinare il nostro destino, o che i veri fattori formativi che dirigono la nostra vita siano i grandi sogni e la passione dell’anima o i progressi delle scienze tecnologiche. Invece, nel vivere reale, solo le idee del business sono di fatto sempre presenti, dalla soglia di casa alla scrivania in ufficio, dall’alba al crepuscolo.”
J. Hillman, Forme del Potere (1995), in U. Galimberti “I miti del nostro tempo” (2009).

In questi giorni si concludono le rappresentazioni dell’opera di Shakespeare “Il Mercante di Venezia”, al Piccolo Teatro di Milano (regia di Luca Ronconi). Come sempre Ronconi colpisce il proprio pubblico. Una scenografia ridotta all’essenziale e personaggi dai tratti incredibilmente marcati accompagnano lo spettatore per le tre ore e quaranta (più o meno) minuti della rappresentazione, mantenendo viva l’attenzione nonostante la lunghezza dell’opera.

Come ben sapete, la piece narra di Antonio, ricco mercante veneziano, che si impegna ad aiutare l’amico Bassanio nel tentativo di conquistare la mano della ricca e bella Porzia, la cui sorte matrimoniale dipende da una lotteria di tre scrigni in uno dei quali si cela il ritratto della bella ereditiera. Per aiutare l’amico, Antonio è costretto ad indebitarsi con l’ebreo Shylock il quale gli chiede come penale in caso di mancato pagamento una libbra di carne “di quella più vicina al cuore”. Dato che sembra che le navi di Antonio siano state tutte affondate nel viaggio di ritorno, Shylock richiede senza misericordia il pagamento della penale scritta nel contratto, anche come vendetta per la fuga della figlia con un cristiano, Lorenzo, amico di Bassanio. Solo grazie all’intervento di Bassanio, che nel frattempo è riuscito a vincere la sorte ed a sposare Porzia, ed all’intervento di quest’ultima sotto le mentite spoglie di un giovane avvocato di Padova, la vicenda ha un lieto fine per il mercante. Grazie ad una serie di cavilli, Porzia, infatti, riesce non solo a salvare Antonio ma anche a fare in modo che Shylock venga punito per la sua crudeltà impietosa, con la perdita di metà dei suoi beni, affidati ad Antonio affinchè li consegni alla figlia dell’ebreo alla sua morte, e con la conversione forzata. La vicenda si conclude a Belmonte nella villa di Porzia, dove ella rivela il suo travestimento ed avvisa Antonio che due delle sue navi sono inaspettatamente giunte in porto.

La trama si sviluppa attorno a due luoghi ricchi di significato. Il primo è la città di Venezia, città mercantile per eccellenza , dove Antonio recita , secondo le sue stesse parole, il suo ruolo “triste”. Il secondo è la realtà di Belmonte, luogo fatato è magico dove vive Porzia e dove i suoi pretendenti devono cimentarsi con la lotteria stabilità dal suo defunto genitore. Sebbene Ronconi osservi, in realtà, una forte somiglianza tra i due mondi in quanto in entrambi il ruolo del denaro è centrale mi sembra che vi siano una serie di marcate differenze. A Venezia il denaro occupa un ruolo cardine nella definizione delle relazioni sociali e determina la sorte stessa degli uomini. Basti pensare al contratto tra Shylock ed Antonio, in cui il mercante pone come garanzia della somma prestata (3000 ducati) il suo stesso corpo che sarà richiesto a gran voce dal creditore alla scadenza del contratto. Bassanio, conducendo una vita al di sopra dei suoi “poveri mezzi”, si indebita fino al collo fino a sperare nell’opportunità della lotteria a Belmonte. Già da questo momento, Belmonte appare estraneo al mondo mercantile, dominato dal calcolo e dal valore monetario, anche se la corda sottile del rischio risulta un collegamento tra questi due mondi. A Belmonte, le discussioni concernenti il denaro sono estremamente rare ed anche Bassanio non fa mai parola del proprio stato di necessità dal momento in cui arriva alla dimora di Porzia. In tutte le scene non vengono mai esplicitamente citate cifre se non nel momento in cui Porzia offre al marito una somma pari a venti volte il debito di Antonio verso Shylock per riscattare l’amico. Anche in questo caso il denaro è trattato con aria lieve e priva della serietà e metodicità che si riscontrano a Venezia. La lotteria, poi, assume dei connotati del tutto paradossali: gli scrigni d’oro e d’argento, infatti, contengono l’uno la morte stessa (un teschio con una pergamena che informa lo sventurato pretendente del suo fallimento) mentre l’altro la follia (una testa di folle con una pergamena). La bellezza e ricchezza di Porzia sono invece contenute nel vile Piombo, che tuttavia è caratterizzato da una frase che concentra tutta lo spirito imprenditoriale (“chi sceglie me deve dare e rischiare tutto ciò che ha”). Belmonte è anche il luogo della metamorfosi e della trasformazione. Lì, infatti, Porzia e la sua serva si travestono da avvocati per salvare il mercante ed ancora lì viene svelato l’inaspettato arrivo delle navi di Antonio in porto, sane e salve. In pieno accordo, con Anna Luisa Zazo, che ha curato le recenti edizioni di Shakespeare per la Mondadori, ritengo che il fondamentale contrasto ed opposizione all’interno dell’opera sia quello tra la magia di Belmonte e la realtà mercantile di Venezia.

Antonio, rappresentante per eccellenza della classe mercantile, si presenta come un personaggio di confine. Per amore dell’amico mette a rischio la sua vita pur di consentirgli di raggiungere il suo scopo. In ogni modo cerca di uscire dalla pura realtà mercatoria, regolata dai rapporti del denaro (solo con lui, Shylock stipula un contratto senza interesse salvo poi richiedere la piena adempienza). Presta con generosità all’amico pur sapendo che questo lo porterà a perderlo anche se tenta in qualche modo di ristabilire il primato su di lui, convincendolo a consegnare l’anello della moglie al giovane avvocato in quanto la sua riconoscenza per averlo salvato deve essere “superiore all’obbedienza verso la moglie”. Cerca insistentemente, e trae grande gioia, dal rapporto d’amicizia e sembra non curarsi delle sue sorti finanziarie in modo ossessivo. Allo stesso tempo, il mondo fatato gli è inevitabilmente precluso. Egli è destinato a perdere inevitabilmente l’amico e non può neanche compiere il suo sacrificio supremo, che non sembra temere, a causa dell’intervento di Porzia. Nella scena finale a Belmonte, Antonio sta in disparte fisicamente e spiritualmente distante da una realtà a cui cerca di avvicinarsi senza successo. Nel mostrare lo stato delle cose Ronconi si dimostra un maestro: Porzia ed Antonio non si toccano mai direttamente e l’unico effettivo momento di contatto è attraverso una missiva che Porzia consegna ad Antonio in cui lo si informa dell’arrivo delle navi. Solo l’incertezza, dunque, sembra poter creare un ponte tra queste due realtà inevitabilmente distanti.

Ad Antonio è dunque preclusa la redenzione di Belmonte. Ogni suo tentativo di allontanarsi dalla realtà di Venezia è inutile ed il personaggio è condannato a quella “tristezza che fa di lui un tale inetto che fatica a conoscere se stesso”. Ma se questo novello (o forse dovremmo dire antico) rappresentante della coscienza infelice sembra non comprendere il materiale di cui tale “stoffa” è fatta, possiamo di sicuro dire che è una stoffa pregiata. Il suo stesso status di mercante lo imprigiona senza scampo sin dal titolo dell’opera e nonostante i suoi numerosi tentativi gli impedisce di divenire quello che non è. Così come la “Madre” in “Sei personaggi in cerca d’autore” è un personaggio che il “Padre”, e l’autore stesso, definiscono in odo netto ed inequivocabile, così Antonio è legato in modo inestricabile al suo ruolo. Un personaggio ribelle, tuttavia, che vorrebbe slegarsi dal suo ruolo originario, che tenta invano di essere quello che Iago, in Otello, è senza difficoltà cioè “non essere se stesso”. Questo anelito frustrato è il cuore del personaggio di Antonio, un personaggio inevitabilmente triste, uno per cui “il mondo è quello che è: un palcoscenico dove ognuno deve recitare una parte… e la mia è una parte triste”.

Più di trecento anni dopo, nel 1957, nell’Italia del boom economico, Italo Calvino scriveva:“Se uno non svolge un ‘attività economica non è un uomo che vale. I proletari pur sempre la lotta sindacale. Noi invece stacchiamo le prospettive storiche dagli interessi, e così perdiamo ogni sapore della vita, ci disfiamo, non significhiamo nulla”. Questa sovversione di prospettive è una delle basi su cui si è creato il mondo moderno. Il lato oserei dire “economico” dell’esistenza ha un peso enorme nella vita moderna e dà un forte contributo ad una creazione di senso per il mondo così come lo conosciamo. Il peso di questa terra è molto più lieve per i moderni rispetto a quello percepito da Antonio ma sembra opportuno chiedersi quanto poi non siamo eredi di questo personaggio da cui potrebbe essere nato il nome della “scienza triste”.