martedì 22 settembre 2009

Emancipazione Knopfleriana: Kill To Get Crimson, Ovvero L'Inizio Del Distacco (Prima Parte)

Matteo Scarcia

La musica commerciale è dovuta principalmente a mancanze da parte dell’audience: si ritiene sempre necessario che l’artista che ci ha maggiormente colpito con un album debba sempre ripetersi con un nuovo disco, con nuove canzoni che piacciano allo stesso modo, che ci colpiscano allo stesso modo. In sostanza, ricerchiamo, fondamentalmente, la ripetizione dell’intuizione artistica, dell’ispirazione artistica sottoponendo quindi l’artista ad un suo sostanziale appiattimento a livello di idee. La cosa divertente è che poi, contestiamo l’artista per essere, alla fine ripetitivo e di non innovarsi mai. È questo il punto: vogliamo l’innovazione sempre vecchia. Vogliamo essere presi in giro. Quindi, vogliamo vedere che Mick Jagger e Keith Richards si scazzottino e saltino sul palco come ai vecchi tempi, anche se hanno la veneranda età di quasi settant’anni e siano quasi plastificati. Mi domando allora: cosa fareste voi se vedeste i vostri nonni saltellare a ritmo di musiche chiaramente fuori luogo per la loro età? Dubito che pensereste bene di loro. Non si può prescindere dalla propria età e c’è l’età giusta per fare le giuste cose.

Questa premessa si pone necessaria per descrivere non tanto l’artista, ma il percorso intrapreso con gli ultimi due album da colui che voglio recensire: Mark Knopfler.

Breve ricostruzione storica: Mark Knopfler è stato il fondatore, la voce, ma soprattutto la chitarra (nelle fattezze della Fender Stratocaster e, per coloro che l’hanno visto in qualche concerto anni ’80, la Dobro, la chitarra resofonica di Romeo and Juliet) dei Dire Straits, gruppo di non facile descrizione musicale in quanto sfuggente e allo stesso tempo mescolatore di molti generi musicali, ma comunque facenti capo ad un particolare tipo di rock country-folk-pop blues (di stampo J.J. Cale, come ammesso dallo stesso Knopfler).

Con l’uscita di Kill to Get Crimsom prima (2007) e Get Lucky (2009), poi Knopfler ha intrapreso un percorso musicale che si discosta molto dal genere tipico dei Dire Straits e che tante critiche riceve dai suoi fan: è passato a suoni quasi celtici, molto distanti dalle atmosfere rarefatte e un po’ polverose dei primi Dire Straits. Bene. Descriviamo i due album.

Il primo è Kill to Get Crimsom ed è uscito a seguito della collaborazione con la cantante country americana Emmylou Harris (collaborazione per la verità della quale non sentivamo granché la necessità e grandemente criticata da più parti specialmente per la resa concertistica). L’album è finalmente, il punto di rottura di Knopfler con le vecchie radici straitsiane: valzer, polche, melodie medievaleggianti caratterizzano il susseguirsi dei brani sino ai due pezzi conclusivi, a mio parere, i migliori. Madame Geneva e In the Sky. Il primo s’inserisce all’interno della scia già tracciata dallo stesso Knopfler con lavori precedenti, somigliando molto, a livello di ispirazione e di resa musicale, a pezzi come Sailing to Philadelphia e Back to Tupelo. La seconda, invece, rappresenta il definitivo distacco dell’artista dal suo passato così ingombrante: una ballata epica, sognante che culla l’ascoltatore lungo i sette minuti che la caratterizzano. Perché segna il suo definitivo distacco: assomiglia per certi versi, alle cavalcate straitsiane degli anni Ottanta, ma se ne discosta in quanto le atmosfere sono quasi minimaliste, i tocchi di chitarra sono più controllati e sembrano voler incidere più per bellezza che per quantità. Non più 3-4 minuti di assoli, ma un minuto per far scoprire all’ascoltatore che si può andare oltre con il pensiero e che si può ascoltare qualcosa di nuovo, da un artista anche vecchiotto (sessant’anni compiuti il 12 agosto), ma che porta con sé una grande carica d’ispirazione artistica, quella stessa carica che sembra persa nella maggior parte degli artisti, o presunti tali, che il mondo mediatico ci concede di giudicare.

In realtà, però, l’album è insufficiente. La critica verte principalmente sulla resa musicale delle idee knopfleriane: canzoni poco incisive, prive di mordente e di quel quid che ti fa dire “Ora la riascolto”. Così, l’album scivola via e si perde tra i troppi “ma” che affollano la mente dell’ascoltatore. Un ottimo sottofondo alla propria esistenza. Una fantastica colonna sonora e due pezzi finali che valgono da soli l’acquisto del cd (e anche qui potremmo aprire innumerevoli altre parentesi), ma forse un po’ poco per un artista dello spessore storico-musicale come Mark Knopfler. Ma per lo meno ha posto le basi per l’album successivo, simile per ispirazione ma decisamente migliore dal solito punto di vista della resa musicale. Ma di questo, ve ne parlo la prossima volta.